Mi trovo su una delle strade di rilievo che congiungono due regioni del centro-nord d’Italia: la Statale 67, la Tosco-Romagnola. E’ una delle vie che raccordano, trasversalmente, due lati della penisola in quanto, come si può vedere su molte carte, va da Pisa a Ravenna.
Questa è una parte dell’immagine tratta da Wikipedia; a questo indirizzo it.wikipedia.org/wiki/Strada_statale_67_Tosco-Romagnola si possono trovare notizie su questa via di comunicazione.
Si incontra, nel suo procedere verso la Romagna, oltrepassate Rufina, Scopeti, Casini la frazione di Contea amministrata dai comuni di Rufina e Dicomano.
Bene, quasi alla fine del km 113, si incontra un ponte sul torrente Moscia, affluente del fiume Sieve. Il torrente Moscia funge da confine tra le due amministrazioni comunali. Questa pagina conferma la cosa it.wikipedia.org/wiki/Rufina#Frazioni
Oltrepassato questo ponte, subito a destra si trova la strada che porta verso il paese di Londa.
Prendo questa strada, e presupponendo, in base alla denominazione ufficiale, che la 556 parta da questo abitato, mi ci dirigo con sicurezza alla ricerca del suo chilometro zero.
Ma qualcosa turba quasi subito il mio intento; a qualche centinaio di metri vedo, sulla destra, una casa cantoniera in restauro con una segnalazione distanziometrica che mi disorienta: km 0 + 230. La tabella è vecchia; risale ai tempi di quando questa strada era una delle tante statali.
La costruzione ha il suo bel rosso pompeiano delle case cantoniere che a me piace molto. Sembra che sia stata venduta ad un privato che la sta rimettendo a nuovo. Più avanti, sulla sinistra, si incontra un’altra cantoniera ma le sue facciate sono rivestite (forse costruite) con pietra grigia. La pietra è bella, la costruzione anche ma, secondo me, non ha il fascino della cantoniera verniciata di rosso.
A questo punto intendo approfondire la questione sul km 0. Torno indietro fino al ponte, lo cerco ma non trovo nessun segnale di progressiva chilometrica. Vedo, invece, sulla facciata di un’abitazione una tabella.
E’ rugginosa ma significativa; una via provinciale iniziava o inizia da qui. Ma è più recente l’affissione della tabella o la conversione della statale in provinciale? Per non insabbiarmi in una questione di lana caprina, trascuro questi dettagli e proseguo ma con una piccola convinzione, sicuramente confutabile: la denominazione avrebbe bisogno di una piccola correzione: ‘provinciale 556 Contea-Stia’.
Lasciandomi alle spalle questa bagattella cavillosa, proseguo per godermi l’itinerario e per descriverlo.
Lasciato il centro abitato di Contea la strada va in leggerissima salita.
Ma questo fatto è secondario rispetto a quello che attira subito la mia attenzione: ai suoi lati, vi è una copiosa presenza di piante non autoctone e fortemente invasive. Sono l’ailanto e le robinie introdotte da noi per ragioni utilitaristiche.
Dal testo ‘Fitocronologia d’Italia’ (1) Ailanthus altissima viene segnalata dal Saccardo come introdotta nel nostro paese nella seconda metà del settecento. Il movente pratico della sua introduzione lo potete leggere su molti testi internettiani: venne introdotta per alimentare un lepidottero ritenuto utile per la produzione della seta.
Esaustiva, nella sua completezza descrittiva, la pagina di un grande sito di botanica, ritengo quasi un’eccezione nel nostro panorama: Acta plantarum. L’indirizzo per l’ailanto è questo: www.floraitaliae.actaplantarum.org/viewtopic.php?t=43460
Altra pianta non autoctona, la cui presenza è ragguardevole, è la robinia, o come dicono in Toscana la ‘cascia’. Si tratta della Robinia pseudoacacia. E sempre dal libro citato sopra, sempre il Saccardo segnala la sua introduzione nel 1662. E’ un’essenza molto popolare, dai fiori profumatissimi per un miele dolcissimo. La medesima deviazione nella Rete è simile a quella suggerita per l’ailanto: actaplantarum.org/flora/flora_info.php?id=6495
Questa lunga deviazione nella Rete per due generi di piante corrisponde, in realtà, ad un altrettanto lungo passaggio tra ali di loro esemplari che rivestono i lati rialzati della strada. Intramezzati si notano piante abbandonate dopo il loro sfruttamento, olivi non potati, viti che allungano i loro tralci come liane, vecchi castagni.
E poi vedo, e faccio notare, attraverso un segnale molto conosciuto, un’altra presenza che si va facendo sovrabbondante, con i problemi che ne conseguono per i coltivatori e gli orticoltori per passione: i selvatici. Polemiche senza via d’uscita si possono trovare, deviando ancora una volta il percorso per decine di documenti virtuali.
Ma, come per l’ailanto e la robinia, ritengo che questi si prendano lo spazio di cui necessitano secondo i loro codici naturali.
Mi ha fatto sempre un po’ sorridere la distanza indicata da questi segnali d’attenzione. Dopo il terzo chilometro la prudenza dovrebbe essere sospesa? Ma sicuramente una qualche ragione vi deve essere se quella scritta è stata posta sotto il segnale.
Se si volesse sapere qualcosa in più sulla fauna di questa regione ci si può spostare, volendo, verso l’indirizzo www.toscanatura.it/pages/fauna/
Ho un primo piacevole incontro al km 0 + 900: delle cassette postali realizzate con perizia e poste su un supporto, con un tettuccio gradevolmente decorato.
E come loro cornice ancora robinie e tralci di vite inselvatichita.
Al km 1 + 200 annoto, attraverso un cartello, che siamo in una delle zone di produzione del Chianti.
La strada continua sempre in leggera salita. Incontro uno dei molti corsi d’acqua attraversati da questo itinerario.
Poco dopo il km 2, a sinistra, si vede questa edicola. Alla sua sinistra si affaccia, quasi timidamente, un giovane ailanto. Non ho trovato notizie, per adesso, su questo piccolo manufatto.
Al km 2 + 400 si incontra il cartello indicatore del paese di Londa, il paese da cui sarebbe dovuta partire la 556.
Poco dopo, si trova il cartello con delle informazioni su dei prodotti tipici.
Per i prodotti indicati da questa tabella si può fare un’altra deviazione nella Rete diretti a:
it.wikipedia.org/wiki/Bardiccio e
www.parcoforestecasentinesi.it/la-pesca-regina-di-londa
Per conoscere qualcosa di più su questo centro it.wikipedia.org/wiki/Londa oppure si può consultare il sito ufficiale del comune.
Come mi informa un cittadino, con un’incomprensibile aria scocciata, il torrente che vedo scorrere sotto il ponte, alla destra della strada, è lo stesso che avevo visto confluire nella Sieve all’inizio del tragitto: il Moscia. Ma, chissà perché, non ne sono convinto.
Di conseguenza, quando ripasso da questa strada il 7 settembre, faccio la stessa domanda ad un’altra persona; il mio dubbio ha una conferma: il corso d’acqua è il Rincine.
Stando sul ponte che congiunge la provinciale all’abitato storico, a valle si vedono delle piccole simpatiche installazioni che raffigurano fantasiosi metodi di pesca.
Al di là del ponte, lato provinciale, si nota una copiosa segnaletica per paesi e località di vario interesse.
Abbiamo la pieve di Sant’Elena a Rincine (vedi it.wikipedia.org/Pieve_di_Sant’Elena_a_Rincine ), il lago di Londa, fonte di molte polemiche seguite ad un intervento di manutenzione.
Per conoscerne i particolari in cronaca, si scriva ‘Lago di Londa’ su un motore di ricerca e si otterranno delle informazioni sulle quali modulare un giudizio.
Poi vengono indicati un ponte medievale e una Pieve di S. Leonino, i luoghi canonici delle Amministrazioni, località varie e anche il luogo finale di questa strada: Stia.
Mi allontano dal centro abitato per questa via, sempre in leggera salita.
Al km 4 + 300 incontro il cartello di avviso sulle condizioni di viabilità del valico di Croce ai Mori, che incontrerò più avanti, in questa stagione ovviamente aperto.
Volgendo lo sguardo nella parte opposta, allo stesso km, si nota un cartello modificato in modo umoristico.
Si passa sul torrente Rincine e, come si può notare in primo piano, l’ailanto continua il suo cammino con me.
Dopo il km 5, la vegetazione ha già assunto un aspetto più rigoglioso ma si notano ancora tracce dell’abbandono delle vecchie attività colturali: una vite con le sue ramificazioni continua la sua vita selvatica su una robinia.
Sempre dopo il km 5 si incontra la località Caiano. Credo che vi siano delle altre località con questo stesso nome e sarebbe interessante conoscere il motivo di questa denominazione diffusa. Sembra che la sua origine vada rintracciata nella toponomastica latina.
Tra le progressive 500 e 600 del km 5, vedo un’altra cassetta postale riparata dalle intemperie con un pratico manufatto ligneo. La superficie su cui poggia la cassetta rimanda a quelle delle informazioni naturalistiche che incontreremo oltre.
Al km 5 + 800 mi fermo ad assaporare il senso di pace di un panorama con olivi, un coltivo da foraggio e un susseguirsi di colline.
Poi al km 6 mi devo fermare di nuovo perché non posso non far notare questo muro ricoperto da Centranthus ruber.
Uno dei libri in mio possesso ‘Il giardinaggio’ (2), che riproduce una guida della Royal Horticultural Society, la dà come originaria dalle spiagge e rocce dell’Europa del sud, del Nordafrica e della Turchia. Qui su un muro di una strada, in piena Toscana, ha preso possesso di un luogo che le è congeniale, sicuramente trasferita da mano umana.
Comunque si può approfondire la sua conoscenza, nella Rete, andando alla pagina: www.actaplantarum.org/flora/flora_info.php?id=1980
Poco più oltre, incontro l’olivo, l’amata pianta di tutti i cultori delle tradizioni e dei buongustai. Anche egli giunto qui dopo aver attraversato uno spazio e un tempo lunghissimi. Su altri appunti di viaggio ho già scritto l’elogio di questa pianta coraggiosa che vegeta fino al lago di Garda e che sta combattendo la sua dura lotta in Puglia.
Mi rifermo al km 7 + 100 per osservare un altro panorama, nel silenzio del mezzogiorno che sta per sopraggiungere. Si vede qualche casa lontano; forse qualcuno sta preparando il pranzo della domenica. Attorno si nota il risultato del lavoro nel campo e, sulle colline, in alcune parcelle con i diradamenti dei boschi.
Mi fermo un tempo breve per apprezzare la sensazione di quiete di questo piccolo scenario; devo proseguire.
E con ragione, perché qualche centinaio di metri più oltre, ecco una graditissima scoperta: la chiesina di Santa Maria a Caiano.
Al km 7 + 800 si può entrare in un lontano medioevo quando questi luoghi raccolti erano riferimenti sicuri per il populus. Leggendo la tabella descrittiva, in poche righe si attraversano secoli, per noi ormai sfuggenti.
Devo riconoscere, con piacere, la cura con cui questo bene è conservato. Mi emoziona il piccolo mazzo di fiori di plastica tenuto fermo dalla staffa della grondaia.
Attorno, come severi guardiani, vegliano i cipressi con la loro silenziosa vita.
Si può avere qualche notizia in più sulla chiesa nel sito ufficiale di Londa: www.comune.londa.fi.it/le-chiese-romaniche.
I cipressi guardano anche il piccolo cimitero dove riposano le persone che hanno vissuto in questi spazi qui attorno. Vi sono tre lapidi attaccate al muretto; saranno state di persone un po’ più importanti?
O sono solamente motivo di ornamento perché non andassero perdute. Il tempo ha limato le iscrizioni. Sarebbero numerose le cose da approfondire; nessuna strada che chiede di essere percorsa, fino al suo termine, lo consente.
Così saluto la chiesetta e il piccolo cimitero e proseguo.
E non molto dopo, al km 8 + 100, mi imbatto in cartelli che invitano ad un’altra categoria di percorso. E’ un percorso da compiersi a piedi con una sacca, un legno e poche cose, immergendosi in territori che ora guardo solamente di sfuggita, interessato più a cogliere i dettagli di una strada ordinaria. Ma non posso non suggerire di prendere in considerazione anche questi altri percorsi.
E un riquadro, protetto da un tettuccio, come le cassette postali di prima, fornisce dei succinti ragguagli su quanto vive lungo quel percorso 7: le creature che vi camminano e quelle che vi respirano apparentemente immobili, le bestie e gli alberi.
Potrei anche suggerire di informarsi su questi esseri viventi, seguendo altri sentieri www.toscanatura.it/pages/fauna/ e www.toscanatura.it/pages/flora/ , oppure di dirigersi su www.comune.londa.fi.it/sentiero-per-londa.
Dopo il km 9 la strada scende ed ai suoi lati si nota ancora la forte presenza della robinia e dell’ailanto.
Al km 10 + 400 si incontra un altro corso d’acqua, con un passaggio su di esso di una struttura di 94 metri; così recita il cartello che lo segnala.
E’ il torrente Fornace che precede la minuscola località che porta il medesimo nome, al km 10 + 600.
Più avanti, quasi celata alla vista da una folta vegetazione, una costruzione contiene nella sua denominazione sempre lo stesso toponimo: è la minuscola chiesetta di S. Lorenzo a Fornace, al km 11 + 100.
E il cartello, che sembra posto da qualche volenteroso, ne riassume sia la storia che la situazione attuale.
Un signore, per lo meno guardingo, mi informa che la chiesetta non è aperta la culto da almeno un paio d’anni. Potrebbe essere comprensibile il suo riserbo in quanto questo luogo mi sembra fortemente compromesso da altri utilizzi.
Il suo campanile a vela ha due piccole campane in buono stato che potrebbero far supporre un loro potenziale uso.
Un piccolo filare di tigli accompagna il visitatore giù fino alla chiesetta.
Dall’alto si può notare la costrizione dell’edificio nelle modifiche successive alla sua costruzione; certo si parala di centinaia di anni e molte cose sono avvenute.
Si possono avere notizie su questo piccolo edificio da it.wikipedia.org/wiki/Chiesa_di_San_Lorenzo_a_Fornace o da www.comune.londa.fi.it/le-frazioni.
Risalendo, guardando a destra, noto, quasi come una nota umoristica, la disposizione delle segnaletica per questo luogo che indirizza l’interessato in due direzioni opposte fuorché quella reale.
Ripassando per lo stesso tratto, in settembre, ho notato che i cartelli erano posizionati nell’orientamento confacente. Ho avuto anche l’impressione che vi fosse stata fatta un’opera di pulizia.
Al km 11 + 300 si incontra un altro corso d’acqua, il torrente Dentice. Sarebbe interessante soffermarsi sull’idrografia del territorio per sapere dove il territorio ha condotto questi percorsi e come, a sua volta, ne è stato trasformato.
Mi passa per la testa un’idea singolare: si potrebbero proporre dei percorsi nelle vie d’acqua segnalati da cartelli azzurri tipo ‘itinerario 56 – Torrente Rentice – Mediamente difficile’. Mah.
Dopo quasi nemmeno un chilometro, alla distanza 12 + 100, incontro la località Selva.
Se in questo luogo c’era realmente una selva questa, dopo secoli di utilizzo, ha lasciato qualche traccia nel groviglio nel quale si è ben impiantata la robinia, almeno da quanto si nota dalla via.
E poco più oltre, a conferma dello sfruttamento umano del territorio, ecco apparire un altro albero quasi mistico: il castagno.
Nella piccola monografia ‘L’albero del pane – il castagno’ (3) di Lucia Nannetti, viene raccontata la rilevanza della Castanea sativa non solamente per il sostentamento umano ed animale ma anche per le sue proprietà medicamentose, per le leggende e i detti nati alla sua ombra, insomma per una cultura totale che ha fatto di questa essenza una delle più ragguardevoli della nostra storia.
Ed anche il castagno ha dovuto sostenere una lotta durissima contro dei patogeni che ne hanno messo a rischio l’esistenza. Ma, come per altre piante, l’uomo ha lottato accanto al suo albero per farlo reagire e vivere.
Inviterei a questo punto a dare un’occhiata a una pagina del sito di botanica da me preferito: www.actaplantarum.org/flora/flora_info.php?id=1807. Per quanto riguarda il suo frutto è esauriente, secondo me, la pagina it.wikipedia.org/wiki/Castagna.
Lascio l’albero della Tessaglia che si può seminare, come sembra voglia dire la sua etimologia secondo varie fonti, e lascio differita anche questa questione perché continuo per la 556.
E, dopo il km 15 + 100 trovo, un luogo molto frequentato. E’ un’area spaziosa con una zona picnic, un ristorante, un campeggio e il cartello che indica il parco del monte Falterona che è compreso, come si avrà modo di verificare oltre, in quello grandissimo del Casentino, monte Falterona, Campigna.
Non mi soffermo molto, solamente il tempo di fare qualche foto. Non ho prenotato ristoranti, non ho neppure un frutto per una sosta sotto l’ombra rada di un pino ed è tutto molto assolato, con persone che sembrano capitate lì per caso, forse alla ricerca di un luogo più fresco. Riprendo volentieri la mia strada.
E qualche chilometro più avanti, incontro questi segnali di attenzione sui quali bestie di natura domestica e selvatica sono poste sullo stesso piano di rischio, la placida mucca e lo scattante cervide.
Non è discutibile l’avviso di porre attenzione alle bestie, che in alcune realtà potrebbero costituire un pericolo, ma mi sia concesso un benevolo sorriso per questa minuscola Arca di Noè ospitata in due cartelli d’attenzione.
Proseguendo mi viene incontro un dolce odore che avvolge tutto, la strada, il panorama, il sottoscritto. E ai bordi della strada mi si presenta il graditissimo incanto visivo e olfattivo delle gialle ginestre.
La seduzione che ci dispensano questi colori e questi profumi è l’ultimo pensiero di queste creature.
Nel loro tempo degli amori, diffondono nell’aria, per viste e olfatti differenti dai nostri, il messaggio per la loro fertilizzazione. E’ un messaggio per gli insetti.
Il matrimonio avviene nello stesso fiore ma l’insetto, goloso di nettare, andando di fiore in fiore, mescola infinitesimali particelle di caratteri che vanno a consolidare le caratteristiche delle piante che, da millenni, invitano questi ospiti ai loro connubi.
La maggior parte degli esemplari che si trova qui sono della ginestra comune, la Spartium junceum. Tra di essi vi è qualche esemplare della ginestra dei carbonai, la Citysus scoparius.
Non posso esimermi dall’indicare altri due percorsi virtuali per saperne di più su queste seducenti piante: www.actaplantarum.org/flora/flora_info.php?id=7452 e www.actaplantarum.org/flora/flora_info.php?id=2539.
Ho un libro sulla simbologia delle piante (4): dice che la ginestra significa amore per la casa e umiltà derivata dalla sua frugalità. Informa che Leopardi le ha dedicato il famosissimo e dolente canto (che molti di noi hanno dovuto imparare a memoria e cantilenare). Ma dice anche che, nella tradizione popolare, gode di poche simpatie per delle leggende legate alla cristianità.
Devo lasciare anche questo luogo di grazia e di meditazione perché la molla che mi spinge ad andare oltre mi fa ripartire. Ed al chilometro 17 + 500 ecco uno degli incontri che attendevo. Qui mostra uno dei suoi molti confini il grande Parco, enunciato dal cartello sorretto da solidi pali.
Si può accedervi virtualmente anche partendo da questo articolo e stando seduti: www.parcoforestecasentinesi.it/
Ho camminato moltissime volte in questo Parco e devo ammettere che, anche dall’asfalto, mi sembra già di essere entrato in un luogo ben diverso da quello incontrato fino ad ora.
Proseguendo incontro il valico preannunciato dal cartello informativo al km 4 + 300: il valico della Croce ai Mori a 955 m. sul livello marino. Proveniente dalla parte opposta, si può notare un gruppo di motociclisti che, chissà perché, fantastico provenire dalla Romagna.
Il legno della croce che segna questo passaggio è provato dalle intemperie e il grande caldo accentua il suo senso di precarietà. Il cerro, poco distante, quasi alle tredici, sembra non volergli concedere nessun lembo della sua ombra. Sotto la croce si trova una piccola lapide che ricorda un uomo morto a 39 anni.
E qui ricompare anche l’ormai consueta curiosità sulla toponomastica.
Forse il nome non ha nessun collegamento con i Mori, come generica indicazione di lontani popoli minacciosi, ma con i rovi che qui crescono, o crescevano, in abbondanza. Per ora non ho trovato spiegazioni di alcun genere per questa denominazione. Ma la mia ricerca continuerà come la mia strada.
300 metri oltre il valico si entra nel comune si Stia il cui cartello indicatore informa essere una località di fabbri e forgiatori. Ogni biennio in questa località si svolge la manifestazione europea di arte fabbrile.
Il cartello non è corretto in quanto Stia ora è una frazione del comune sparso di Pratovecchio-Stia. Per informazione: it.wikipedia.org/wiki/Pratovecchio_Stia.
Per una ragione a me sconosciuta, forse a causa di un lembo del suo territorio che interessa la provinciale, un confine del comune di Londa viene indicato al km 18 + 800 cioè 200 metri dopo l’inizio di quello di Stia.
Cento metri più in là viene segnalato il confine tra le amministrazioni della Città Metropolitana di Firenze e la provincia di Arezzo.
Qui viene più correttamente indicato il primo comune della provincia.
Un cartello sbilenco, al lato della strada, riafferma la divisone delle due Amministrazioni provinciali.
Qualche chilometro più in la, mi devo fermare perché voglio contemplare il paesaggio boschivo del Parco nel versante aretino. Lo spettacolo mi consola di qualche spiacevolezza incontrata per la via.
Gli occhi e la mente si beano della bellezza e della forza di questo patrimonio di magnificenza e di salubrità. E’ il nostro respiro.
Alcune parti della foresta sono state tagliate. Forse sono stati interventi in proprietà private oppure sono state operazioni demaniali di diradamento per migliorare la struttura del grande corpo vegetale. Non hanno rilevanza le ragioni; se è necessario intervenire, senza la deturpazione e secondo le norme, la conduzione del patrimonio sarà corretta.
Proseguo ancora e noto che, nella provincia di Arezzo, le tabelle distanziometriche sono accurate, come questa.
Al km 21 + 400 incontro la prima frazione del comune di Pratovecchio-Stia. Chissà a cosa si riferisce il nome Il Tiro.
E al km 22 + 700 faccio un grande incontro: ancora giovane, che canta tra i sassi, l’Arno.
E il benvenuto azzurro del comune, nel quale sono entrato, fa conoscere il proprio vanto per questa presenza.
In effetti Pratovecchio-Stia può sentirsi pago della presenza del Parco e del fiume della Toscana; reputo sia contemporaneamente consapevole dell’incombenza toccatagli in sorte.
Supero questo problema pragmatistico, che non mi coinvolge direttamente, e vado avanti anche perché so che incontrerò un luogo nel quale mi soffermerò un po’ più a lungo.
Mi viene incontro, preavvisato dal nome della frazione da cui prende il nome. Lo considero la punta di diamante della strada
Al km 24 + 500 ne trovo l’indicazione, con una modifica vocalica che reputo dipenda da una variante vernacolare.
E, seguendo l’indicazione, ritorno a quanto avevo visto e sentito il 15 giugno scorso, quando ero venuto a visitarlo di proposito perché ne avevo sentito parlare.
Dopo avere percorso una breve strada bianca si posteggia l’auto accanto ad un piccolissimo giardino che è un memoriale per il primo partigiano caduto nell’Aretino l’undici giugno 1943 a vent’anni: Pio Borri. Nella Rete non si trovano molte cose su di lui, sostanzialmente quanto riportato da it.wikipedia.org/wiki/Pio_Borri.
Questo piccolo borgo è, in gran parte, di un unico proprietario che ha rinunciato a varie offerte di acquisto per mantenere, quanto più possibile, il valore culturale del luogo che rientra nel complesso dell’Ecomuseo del Casentino.
Questa scelta è colma anche di un forte legame affettivo.
La persona si è dimostrata giustamente orgogliosa del fatto che questo luogo, debitamente restaurato, sia frequentato per festeggiamenti privati, per visite al vecchio mulino, diventato un piccolo museo, e per ospitalità.
Il mulino era alimentato dall’Arno che qui, ancor più giovane, scorre nella proprietà molto ben curata.
Fino al 1974 vi era anche un grande allevamento di trote di cui resta la vecchia targa.
Ora ne è rinato un altro, gestito da una cooperativa, con un intento specifico: ripopolare i corsi d’acqua di specie autoctone o in pericolo di estinzione. Per conoscere questa attività si devia per l’indirizzo: www.cooperativainquiete.it/, cercandone le informazioni alla scheda ‘Acquacoltura’.
Da questo progetto non è aliena anche la finalità commerciale, necessaria per mantenere l’attività.
Il museo è negli spazi del mulino vero e proprio che, per decenni, è stato uno dei fulcri dell’economia rurale del territorio circostante.
Il gentile interlocutore mi ha mostrato il museo con le sue memorie composte da parti quasi complete della struttura di macinazione, oggetti, fotografie.
Uscito con lo sguardo ricolmo di queste testimonianze, ho notato, all’esterno, un dettaglio divenuto quasi commovente dopo un breve resoconto.
Su una delle pareti di una delle costruzioni il proprietario aveva ristrutturato una vecchia piccionaia. Un giorno è diventata il rifugio sicuro di un allocco che ha messo al mondo dei piccoli. Hanno preso tutti il volo.
Quasi senza quasi soluzione di continuità, tra i lasciti di questo luogo, giunge l’ultima sorpresa: stando a quanto mi è stato riferito, in occasione di quella visita, accanto al Mulin di Bucchio passava l’antica strada che congiungeva il Casentino con il Mugello, l’unica.
Quella che è stata rimpiazzata dalla provinciale 556, ex statale, quella che sto percorrendo.
Per chi non abita vicino, per colui che non ha possibilità di viaggiare, per chi desiderasse visitarlo un giorno vi è l’accesso al sito dedicato a questo luogo, www.molindibucchio.it/.
Questo mulino è raggiungibile da Internet attraverso molti ingressi e per più di un interesse; a ciascuno la sua scelta. Ma l’emozione autentica risiede nel visitarlo di persona. E’ un vero concentrato di storia, di vicende e di passione.
Proseguo ancora su una strada che, dopo la parentesi di una testimonianza umana e civica elevata, già dal mulino con il suo piccolo memoriale, assume un sapore amaro.
Incontro al km 25 + 600 la frazione di Giuncheto.
Duecento metri più avanti, trovo un’edicola al cui interno è inginocchiata la statua in pietra serena di una donna in preghiera per il motivo indicato dalla sua intitolazione: Regina della pace.
Accanto a questa costruzione c’è una targa descrittiva di un altro fatto, sempre attinente alla II^ guerra mondiale, dopo l’otto settembre 1943: vi è descritta la sorte finale di 108 persone, cinque mesi dopo la morte del ragazzo commemorato al Mulin di Bucchio.
Per chi volesse apprendere delle informazioni più dettagliate: it.wikipedia.org/wiki/Eccidio_di_Vallucciole.
Mi allontano dal luogo con l’animo un po’ più compresso e, poco oltre, mi fermo a dare un’ultima occhiata al borgo appena lasciato. Ora è sereno, riposa sotto la calura estiva circondato da colline boscose. Poco sotto c’è una coltura di abeti, alcuni dei quali forse destinati al Natale venturo. Tutto dà un senso di assoluta serenità. Le lacrime si sono asciugate e friniscono le cicale.
Poi incontro questo cartello che si riferisce ad un piccolo magazzino della provincia.
Sul pannello visibile del deposito della 10^ zona sono ribaditi, con l’espressione dello slogan sommario, dei motti di esaltazione e di denigrazione di natura civica. Le lacrime di Vallucciole si sono prosciugate o i tempi sono mutati.
Al km 30 ecco il preavviso del bivio dove so che finirà la 556, incontrando un percorso trasversale che congiunge la Toscana con la Romagna, la statale 310.
Mi sorprende la coincidenza che il mio percorso abbia avuto inizio da una strada di comunicazione simile. Per notizie su questa strada si percorra sempre la via virtuale: it.wikipedia.org/wiki/Strada_statale_310_del_Bidente.
Poco dopo vedo, in basso, i resti di una vecchia manifattura; quasi certamente vi veniva lavorata la lana. Questa era un’attività molto viva in queste zone, fino al declino a causa di tecnologie più avanzate e di altre cause.
Nel paese di Stia c’è il Museo dell’arte della lana ‘Fondazione Luigi Lombard’. Non è lontano dalla fine di questa strada. E sicuramente merita una visita, anche semplicemente per vedere come era strutturato un ambiente industriale all’epoca della cosiddetta ‘rivoluzione industriale’. Per chi volesse farvi una visita virtuale www.museodellalana.it.
Ed ecco, indicata impeccabilmente dalla sua tabella, la fine del mio percorso per oggi sulla provinciale 556.
Ho percorso questa strada domenica 23 giugno 2019, sotto un sole sempre più caldo e con l’andirivieni di moltissimi motociclisti che provavano adrenalina e competenze.
Ora ho bisogno di un ritemprarmi e mi gusto un piatto di fettuccine alla trota ad una sagra, nata per far gustare questo pesce allevato, dopo questa imperfetta relazione su una strada ordinaria.
Per avere qualche notizia e programmare un salto a questa sagra: www.papiano.it/news-feste/festa-della-trota/.
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Itinerario Google maps
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BIBLIOGRAFIA
(1) ‘Fitocronologia d’Italia’ Olschki editore anno 2000
(2) ‘Il giardinaggio Dizionario delle piante ornamentali vol a-j’ pag. 245 UTET-GARZANTI anno 1998
(3) ‘L’albero del pane – il castagno’ Lalli ed. 2000
(4) ‘La simbologia delle piante’ di Carlo Lapucci e Anna Maria Antoni Polistampa ed. 2016
RINGRAZIAMENTI
www.actaplantarum.org
www.it.wikipedia.org
www.toscanatura.it
www.parcoforestecasentinesi.it
RINGRAZIAMENTI PARTICOLARI
Alla mia correttrice del testo Elena Tondi
Avvertenza importante
Se vi sono persone che trovano che un loro diritto sia stato leso, me ne metta al corrente e sarà mio obbligo modificare o eliminare la nota, dopo un civico confronto.